Il gioco

Parlare di gioco e bambini sembra essere fin troppo facile. Il gioco è la via regia dell’infanzia, e la sua attività principale. Eppure dobbiamo diventare consapevoli di quanto il gioco sia negato ai bambini di oggi. Non parlo dell’attitudine giocosa, la capacità infantile di inventare per le cose  e le persone nuove funzioni, nuove prospettive, nuovi ruoli: questa possibilità di navigare con la mente e l’immaginazione è ancora concessa ai bambini, perché fortunatamente si tratta di un’attitudine, che è più complessa da estirpare e sopravvive ancora al giorno d’oggi.

Parlo invece delle occasioni di gioco, delle attività che richiedono un tempo e uno spazio speciali, magici, delimitati in modo preciso, da dedicare alle attività ludiche da soli o insieme agli altri: il gioco libero.

Gli adulti stanno estinguendo il tempo del gioco, colonizzando le giornate dei bambini con attività, più o meno strutturate, che definiscono cosa sia adeguato all’età o al contesto specifici. Così il tempo scolastico è disciplinato e il tempo extrascolastico è diviso in attività ginniche, sportive, artistiche, linguistiche…

Gli adulti stanno estinguendo anche lo spazio del gioco, colonizzando gli spazi abitabili in ambiti funzionali: commerciali, istituzionali, residenziali. Così  lo spazio per i bambini è diviso tra i luoghi dell’istruzioni, ove  vige un controllo capillare delle condotte, e i luoghi del divertimento, luoghi plastificati e del tutto fasulli (anche se sicuri) che definiscono dei precisi comportamenti da seguire.

La condizione dei bambini di oggi è privata della libertà  di dedicare al gioco un tempo e uno spazio svincolati dal controllo  adulto, in cui sperimentare condotte differenti: in cui sperimentare il rischio, l’avventura, lo scontro, la trasgressione. Quando ogni cosa è sotto costante occhio supervisore che controlla, giudica e stabilisce regole, il comportamento non può essere libero e il gioco di una cosa sola non può fare a meno: della libertà. Deve poter spaziare e deve trovare come confini solo le cose del mondo con la loro naturale asperità e le loro norme, oppure gli altri pari, con la loro sensibilità e il loro gusti. Non ci può essere gioco nel controllo totale di un mondo dove i bambini non hanno spazio e tempo che appartengano a loro e loro soltanto.

Per sedare un bisogno di sicurezza sempre più affamato, gonfiato da un sistema che usa i mass media per spaventare e controllare le condotte, gli adulti non accettano di lasciare ai bambini la libertà di sperimentare, non dobbiamo lasciarci condizionare dall’idea che oggi il mondo sia cambiato. Nel passato è sempre esistito il rischio che accadesse qualcosa ai bambini, e infatti accadeva, ma questo non ha impedito loro di vivere il mondo in gruppo, in bande, pazziando per i campi, le strade, le case abbandonate. Oggi il mondo non è più pericoloso del passato, ma è più ossessionato dal controllo, in particolare dell’infanzia.

Ma sempre se si guadagna in sicurezza, si perde in libertà che tuttavia è l’anima del gioco. Si potrebbe pensare che sia poca cosa, ma ricerche recenti (S. Brown, Gioca!, Ultra; Roma 2013; P.Gray, Lasciateli giocare, Einaudi, Milano 2013) ci confermano che la carenza di gioco libero in età infantile è causa dell’aumento dei disordini comportamentali, cognitivi e mentali in adolescenza. Senza sperimentare la paura, la frustrazione, il dolore che sono sempre possibili nel gioco libero tra pari, all’aperto, in condizioni rischiose, i bambini non diventano capaci di sostenere e sopportare le difficoltà, rimanendo fragili e dipendenti. Senza la libertà di comportarsi in modo anche scorretto, pericoloso o aggressivo, magari sbagliando, ma facendone esperienza, sono costretti a comprimere le loro emozioni e ad agirle in modo scomposto e fuori contesto e spesso fuori misura.

Siamo più sicuri, certo, ma stiamo preparando un futuro incerto e molto più rischioso: senza libertà, quindi senza gioco, non è possibile diventare adulti.

 

Articolo tratto da Bambini, Edizioni Junior, mese di aprile 2018
Scritto da Francesca Antonacci, docente di Pedagogia del gioco, presso l’Università Milano-Bicocca